La storia finora. La banda di mercenari guidati dal misterioso Mike Rogers ha organizzato una serie di attentati al presidente del piccolo stato latinoamericano di Rio Valiente. I Vendicatori Segreti guidati da Steve Rogers e la loro alleata Donna Maria Puentes sono riusciti a sventarli tutti… ma a quanto pare l’ultimo è riuscito e il vicepresidente della piccola repubblica, in combutta con i criminali sta per assumere il potere.

O almeno così sembra.

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE

Di

Carlo Monni & Carmelo Mobilia

 

 

Nel giro di pochi giorni, il presidente Hugo Martinez aveva subito ben due attentati alla sua vita.

Il primo il giorno precedente, quando un commando composto da tre supersoldati americani aveva attaccato la sua villa mettendola a ferro e fuoco;[1] il secondo meno d’un ora prima, quando un cecchino per poco non gli faceva saltare la testa mentre era affacciato alla balconata del palazzo presidenziale. [2]

Era comprensibile, dunque, che l’uomo fosse sconvolto: sebbene i capi di stato siano abituati alle pressioni, venire quasi uccisi da un cecchino non è certo una cosa che puoi dimenticare tanto facilmente. Per fortuna i servizi segreti locali, in collaborazione con una task force di agenti americani (guidati da quello che lui non sapeva essere l’originale Capitan America), avevano impedito che i suoi aspiranti assassini riuscissero nel loro intento.

Ora si trovava nella camera da letto della residenza estiva, la cui ubicazione era nota a pochi. Si sentiva al sicuro, e slacciandosi la cravatta, si era versato un bicchiere di rum per calmare i nervi. La villa era circondata da guardie armate, disposte su tutto il perimetro. Ma anche se ben sorvegliata, era uno scherzo per l’ex agente dello S.H.I.E.L.D Gail Runciter penetrare nell’edificio: il suo addestramento le avrebbe permesso di entrare in luoghi ben più inespugnabili di questo. Balzò giù dall’albero su cui s’era nascosta, atterrando senza fare il minimo rumore. Mise K.O. una guardia con un presa attorno al collo che gli fece perdere i sensi poi sparò il suo rampino verso il tetto e arrampicandosi lungo il cavo rapidamente arrivò alla finestra della camera del presidente. Entrò dalla finestra e mentre Martinez cercava di prendere sonno nel suo letto, lei fece esplodere due colpi.

 

 

Rio Valiente, Palazzo Presidenziale. Presente.

 

Arturo Velasquez sorrise tra sé e sé. Tutto era andato secondo i piani e ora lui era El Presidente, aveva il potere che aveva sempre bramato e che quello sciocco di Hugo Martinez stava sprecando in un futile sforzo riformista. C’era un prezzo da pagare ovviamente, ce n’era sempre uno ma poteva permetterselo e poi… lo avrebbe fatto molto più ricco di quanto tanti suoi compatrioti potessero sognare.

Uno dei funzionari della Presidenza gli si avvicinò.

<Ho fatto chiamare il Presidente della Corte Suprema per il giuramento di rito signor Presidente.> gli disse.

Signor Presidente, che bella sensazione essere chiamati così.

<Benissimo.> disse. Rimase un attimo in silenzio come se stesse rimuginando qualcosa, poi aggiunse <Voglio che l’assassina del… del mio predecessore sia catturata a tutti i costi e i suoi complici processati e giustiziati alla svelta. Mi faccia preparare per la firma i decreti per la proclamazione del lutto nazionale e poi per la proclamazione della legge marziale in tutto il paese con coprifuoco notturno e la sospensione della costituzione in virtù dei poteri d’emergenza.>

<Ma… signor Presidente è sicuro? >

<Non discuta i miei ordini, li esegua… e faccia venire qui il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate. Non stia lì impalato, vada.>

Il funzionario uscì e Velasquez si rilassò. Tutto stava andando come previsto.

Qualcuno bussò alla porta ed entrò una segretaria.

<C’è un signore che vuol vederla, mi ha dato questo.>

Gli porse un bigliettino che Velasquez lesse rapidamente per poi rispondere:

<Lo faccia entrare… e si assicuri che nessuno ci disturbi sino all’arrivo del giudice.>

La ragazza uscì e fece largo ad un uomo robusto, con una vaga somiglianza con il famoso rivoluzionario messicano Pancho Villa, ma se Villa riusciva ad avere comunque una certa aria di simpatia, negli occhi del nuovo venuto c’era un chiaro lampo di ferocia che metteva i brividi anche quando sorrideva. Non a caso Francisco Blanco, ex generale destituito ed ex braccio destro del precedente dittatore era detto “El Duro”. Aveva tramato a lungo nell’ombra per vedere arrivare questo giorno.

<Che ci fai qui?> lo rimproverò Velasquez <Eravamo d’accordo che non ti saresti fatto vivo fino a che non avessi proclamato la legge marziale e ti avessi nominato ufficialmente nuovo capo delle Forze Armate.>

<Calmati!> replicò l’altro con voce ferma. Ero solo curioso di vedere come procedevano le cose… e poi ormai non fa più differenza che mi vedano qui oppure no, giusto?>

<Beh... penso di no. Ormai sono il Presidente, posso fare quello che voglio.>

<Abbassa le arie. Sono stato io a far sì che arrivassi dove sei ora. Io che ho pagato quei mercenari perché facessero il lavoro sporco per noi. Certo… un bel po’ di fondi sono arrivati dai nostri amici del Cartello di Ciudad Juarez ma che importa? Non dimenticare mai che sono io quello che comanda davvero.>

La porta si spalancò di colpo.

<Ma che belle cose interessanti che avete detto.>

La voce apparteneva a Donna Maria Puentes, in piedi nel vano della porta con la pistola spianata contro di loro. Dietro a lei c’erano altre guardie di sicurezza e... il presidente Martinez, vivo e vegeto.

Velasquez emise un grido strozzato ed esclamò:

<Non… non è possibile!>

 

 

Rio Valiente, qualche ora prima.

 

Gail Runciter entrò dalla finestra, puntò la pistola verso il letto a baldacchino e aprì il fuoco. L’arma aveva il silenziatore, per cui nessuno udì lo sparo. I tre colpi bucarono le lenzuola ma da esse non fuoriuscì nemmeno una goccia di sangue. Fu in quell’istante che Gail Runciter capì di essere caduta in una trappola: si voltò per uscire da dove era entrata ma un diretto destro la colpì al viso.

<Gail... che delusione.>

<Nomad?? Jack ... sei davvero tu? Credevo fossi morto…>

<Mi sa che non sono l’unico, da queste parti. Come puoi stare dalla parte di quel pazzo?>

<Tu... non puoi capire. Non sai quello che ho passato...> un tempo i due erano stati buoni amici, ma ora sembrava che nessuno dei due ricordasse quei trascorsi. La donna cercò di colpirlo con un calcio alto mirando alla testa, ma Jack lo parò col braccio sinistro e ricambiò il gesto col destro, colpendola. L’effetto sorpresa si rivelò un vantaggio per Nomad, che ne approfittò per infierire sulla sua avversaria, mettendola definitivamente K.O.

Donna Maria Puentes entrò nella stanza sentendo il rumore di una colluttazione:

<Jack... l’hai presa?>

<Sì... sì, l’ho fermata.> disse lui con una nota di dispiacere nella voce.

<Signor presidente, cessato il pericolo. Bersaglio neutralizzato.> disse Maria al suo auricolare <Facciamo scattare la trappola adesso.>

 

 

Washington D.C. Ambasciata Russa. Presente.

 

Il colonnello Anatoly Vladimirovich Serov, capo della sezione americana del servizio segreto militare russo, meglio noto come G.R.U. sotto la copertura di vice addetto militare, stava riflettendo sui cambiamenti avvenuti di recente nel suo paese. Come tutti in ambasciata aveva seguito la conferenza stampa di presentazione della nuova Guardia d’Inverno con lo smascheramento pubblico del Guardiano Rosso.[3] Più degli altri, però, era rimasto sorpreso nell’apprendere che sotto quella maschera si celava Alexi Alanovitch Shostakov. Aveva conosciuto Shostakov in un campo di addestramento del G.R.U. più di vent’anni prima e per quanto ne sapeva era morto pochi anni dopo durante un volo di prova di un nuovo cacciabombardiere. A quanto pare, non era vero. Serov era nei servizi segreti da troppo tempo per sorprendersi di una simile copertura. Chissà se la Vedova Nera sapeva già di non essere più una vera vedova?[4]

Quello che lo sconcertava di più era che un oscuro ufficialetto, un burocrate sostanzialmente, come Viktor Menikov avesse scalzato un uomo esperto come Alexei Vazhin dalla poltrona di direttore del F.S.B.[5] Perché il Presidente si fidava tanto di lui? Quali oscuri giochi politici erano in corso al Cremlino e quale sarebbe stata la prossima testa a cadere?

Il G.R.U. aveva una lunga tradizione di rivalità con l’F.S.B. e l’S.V.R.[6] e i loro predecessori e Serov non si sarebbe certo dispiaciuto se fossero incappati in qualche scandalo com’era accaduto al suo servizio quando Yuri Stalyenko si era rivelato un traditore.[7] Doveva stare attento e aveva bisogno di alleati. Forse sapeva a chi chiedere.

 

 

Rio Valiente. Palazzo Presidenziale.

 

<Era una trappola, maledizione!> esclamò Francisco Blanco cercando di estrarre una pistola.

<Non lo farei se fossi in te, Francisco.> disse con voce dura Donna Maria <Ti sparerei molto volentieri, non darmi un pretesto.>

Blanco sorrise ed alzò le mani.

<Ahi, Maria…> disse <Non sei più la tenera ragazzina che faceva girare la testa ai soldati. Sei diventata una vera tigre.>

<E bada di non assaggiare mai le mie zanne. Siete tutti in arresto per tradimento.>

Martinez osservò il suo ex vice mentre veniva ammanettato e nei suoi occhi si leggeva un profondo senso di delusione.

<Arturo... come hai potuto?>

E dopo mesi e mesi di menzogne e bugie, Arturo Velasquez gettò la maschera:

<Avrei reso questo paese ricco. Avrei condotto Rio Valiente verso un epoca di benessere mai vista da queste parti. Ma tu con i tuoi patetici moralismi e il tuo bigottismo hai impedito di realizzare questo sogno...>

<Sogno? E a che prezzo? Trasformando il nostro paese in un canale per la droga? Alleandoti con criminali come questo... animale?> disse additando Francisco Blanco con disprezzo.

<Muere, hijo de puta!> rispose questi con disprezzo.

Velasquez non disse nulla. Il suo silenzio era eloquente.

<Portatelo via... > si limitò a dire il presidente.

 

 

Da qualche altra parte.

 

<Qui Iron Maiden. Rispondete, passo.>

Nessuno rispose. Al terzo tentativo capì come erano andate le cose. L’operazione non era andata a buon fine.

Melina Solokova era furibonda. Tutto era andato storto e adesso lei era l’unica libera del gruppo. Avrebbe anche potuto filarsela ma sentiva un debito verso l’uomo che l’aveva tirata fuori dalla depressione e le aveva dato un nuovo scopo, non l’avrebbe abbandonato.

Per fortuna Mike Rogers aveva pensato anche allo scenario peggiore e preso le sue contromisure.

Ora toccava a lei metterle in atto.

 

 

Prigioni di Rio Valiente.

 

Per la prima volta da anni Steve Rogers si sentiva a disagio. Davanti a lui c’era quello che poteva considerare il suo doppio malvagio come in un racconto d’altri tempi. Il problema è che anche se non l’aveva mai incontrato prima di questa faccenda, lui conosceva Mike Rogers. Molti decenni prima, durante la seconda guerra mondiale, gli scienziati americani lo avevano condizionato a credere di essere Grant, il fratello minore di Mike e gli avevano riempito il cervello di ricordi di una vita non sua. L’uomo che ricordava, però, non era uno psicopatico assassino ma un uomo buono e generoso. Era stato il siero del supersoldato che gli avevano iniettato, sperando di salvargli la vita quando lo avevano ripescato gravemente ferito dopo l’attacco a Pearl Harbor, oppure le ferite gli avevano lesionato la mente? Queste domande non avrebbero avuto risposta. Lo guardò ancora una volta e contemplò quel volto così simile al suo. Avrebbero potuto essere gemelli ma se lui aveva detto la verità erano solo lontani parenti, due rami dello stesso albero genealogico, discendenti del primo Steve Rogers, e questo non poteva non inquietarlo.

Visti i suoi meriti nel salvare il presidente Martinez, le autorità locali gli avevano permesso di interrogarlo.

<So cosa ti stai chiedendo.> ruppe il silenzio Mike <Ti stai chiedendo: perché? Perché ho scelto questa vita?>

<Sì… era una delle domande che volevo farti.> ammise Steve.

<La risposta è perché mi diverte ed anche perché non ne potevo più. Il nostro paese sta andando in malora da decenni e nessuno fa niente per impedirlo, non si meritano il mio aiuto.>

<Ripicca e risentimento dunque. Ti compiango.>

<Tu compiangi me? Ah! Tu che hai rubato la vita di un altro, molto migliore di te, al punto di rinnegare il tuo vero nome ed assumere il suo oltre alla sua faccia? Sei ridicolo!>

<Dunque è sempre convinto che io sia il Capitan America degli anni 50…> pensò Steve <Bene, che continui a pensarlo, io non lo smentirò di certo. Questa bugia potrebbe servirmi in futuro per sviare chi può associare il mio volto a quello dell’originale Capitan America.>

Mike continuò a squadrarlo.

<I chirurghi hanno fatto un buon lavoro davvero. Non si vedono i segni delle operazioni. Potrei pensare che tu sia il vero Steve Rogers… e l’idea mi è anche venuta in mente, lo confesso, ma se tu fossi davvero Steve Rogers... perché avresti rinunciato ad essere Capitan America per far seppellire quell’altro al tuo posto? Non ha senso.>

Per lui ne aveva all’epoca, voleva smettere di essere un simbolo per essere solo un uomo. Quel dialogo stava diventando surreale.

<Ti sfugge un punto> riprese Steve con un tono aspro e severo <Non sono io quello sotto interrogatorio, ma tu. IO faccio le domande e TU mi darai delle risposte. Conosco diversi modi di farti sciogliere le lingua...>

Se Mike avesse saputo di aver di fronte l’originale Capitan America, non sarebbe mai caduto in quel tranello: tutti sapevano come egli fosse contrario alla tortura dei prigionieri e alla violazione dei diritti umani.

Ma per fortuna, il suo anonimato gli veniva in aiuto per rendere quel bluff assolutamente credibile.

 

E mentre i due lontani parenti discutevano, Jack Monroe e James Barnes li fissavano da dietro il vetro a specchio.

<Dio, hanno una somiglianza inquietante...> disse Jack.

<Perché, noi due no?> gli rispose Bucky, sorridendo.

<Giusto.> sorrise l’altro <Fatto sta che è una cosa ... inquietante.>

<A me quello che preoccupa è il Comandante... Steve. Da quando quel tipo è apparso è diventato... nervoso, impaziente. Non vorrei che facesse qualcosa di ... avventato.>

<Beh non devi più preoccuparti adesso... li abbiamo catturati tutti. Gail e Crimson Commando sono in manette nell’altra stanza, mentre quel pazzo con la faccia tatuata che per poco non mi ammazzava è sedato. L’unica rischio è che si metta a torturarlo per davvero... ma se vuoi la mia, quel bastardo se lo merita.>

 E a quel punto, Sharon sarebbe riammessa in squadra, pensò, ma si tenne questo pensiero per se.

 

Improvvisamente Donna Maria entrò trafelata nella stanza.

<Steve, devi venire a sentire. La stanno trasmettendo su tutte le frequenze radio e TV e via web.>

<Di cosa stai parlando?> domandò Steve.

<Oops.> disse Mike con un sorrisetto soddisfatto <Scacco al Re.>

Quell’espressione non significava nulla di buono. La voglia di colpirlo era grande, ma si trattenne. Steve e Maria lasciarono la stanza degli interrogatori e si diressero verso la sala riunioni, dove c’erano il presidente, il capo dei servizi segreti e alcuni consiglieri. Avevano tutti un’espressione funebre in volto.

<Cosa sta succedendo?> domandò l’americano.

Un agente indicò lo schermo di un computer dove si vedeva in primo piano un volto di donna coperto da una maschera di metallo. Le sue parole furono una staffilata per tutti.

<<Il mio nome è Iron Maiden. In questo momento ho nelle mie mani un potente virus che una volta liberato causerà un’epidemia con una mortalità stimata del 70% nelle prime 24 ore. È mia intenzione rilasciarlo se non saranno immediatamente liberati i miei compagni catturati in seguito agli attentati al Presidente Martinez. Avete solo due ore per rispondere a questo ultimatum.>>.

Nella sala era calato un silenzio spettrale. Uno dei consiglieri del presidente prese la parola:

<E’ un ipotesi terribile. Immaginate cosa accadrebbe se portasse a termine la minaccia?>

<Sarebbe una catastrofe. Non possiamo permettere che ciò avvenga.> disse Martinez.

<Non abbiamo scelta che accettare le loro condizioni, signore. > aggiunse un altro consigliere.

<Con tutto il rispetto, signore…> disse Steve rivolto al presidente <… io non cederei al ricatto. Non può che essere un bluff. Iron Maiden non userà mai quel virus, ammesso che lo possegga, rischierebbe la sue vita e quella dei suoi compagni.>

<Sempre che non siano immunizzati. Non posso e non voglio mettere a rischio la vita dei mie concittadini. Per quanto mi ripugni, libererò gli americani e darò loro l’aereo che hanno richiesto.>

<Ma signore, non credo sia una buona idea. Se permette io…>

<Comandante… > ribatté Martinez <… le sono infinitamente grato per ciò che ha fatto per me e il mio paese. Rio Vailente ha un grande debito verso di lei e lo S.H.I.EL.D.. Mi ha salvato la vita, e questo non lo dimentico. Ma un attacco batteriologico sul nostro suolo è qualcosa che esula dalle vostre competenze. Questa è una responsabilità, una decisione che devo prendere io e io solamente. Non posso rischiare la vita di milioni di miei connazionali per un suo azzardo. La decisione è presa.>

<Questa è una folla!> esclamò Donna Maria <Lei non può essere così pazzo da cedere ad un ricatto simile!>

<Cosa ha detto agente Puentes?> replicò Martinez furente.

<Io… nulla signore.>

<Meglio così. Non vorrei essere costretto a ricordarle chi era suo nonno e cosa ha significato per questo paese.>

Al ricordo del capostipite della famiglia di dittatori da cui discendeva, Donna Maria avvampò e solo per un pelo si trattenne dal rispondere per le rime all’uomo che aveva giurato di proteggere, ma non dallo sbattere la porta alle sue spalle uscendo.

Steve la seguì.

<Ti ringrazio per aver preso le mie parti lì dentro> le disse <ma forse non avresti dovuto. Potrebbero sospenderti o addirittura licenziarti per insubordinazione.>

<Al diavolo. Appena finirà questa storia darò le dimissioni.  Magari chiederò a Nick di riprendermi allo S.H.I.E.L.D.>

<Oppure c’è un’altra soluzione> le disse Steve <Potresti unirti alla mai squadra. Non te lo dico per via di quello che c’è stato ... l’altra notte. Fin dalla prima volta che ti ho visto sono rimasto colpito dal tuo coraggio Maria. Se vuoi, c’è un posto per te.>

<Io... non so proprio cosa dire. Grazie.>

Poco dopo, i due raggiunsero la stanza dove comunicarono a Jack e Bucky quanto il presidente aveva detto loro.

<Quell’ingrato... forse non avremmo dovuto evitare che gli facessero saltare le cervella.> disse ironicamente Jack.

<Non possiamo fare altrimenti. D’altronde è vero che non è compito nostro prendere decisioni del genere...> fu costretto ad ammettere Steve.

<Un alternativa di sarebbe.> disse il Soldato d’Inverno.

<Sospetto che quello che stai per dire non mi piacerà...> intuì Rogers.

<Stammi a sentire, Steve. E’ l’unica alternativa che abbiamo. Dobbiamo far confessare a quel Mike che è tutto un bluff. Lo so che non approvi questi metodi, ma viste le circostanze ...>

<No. In nessun caso approverò una condotta del genere, Buck. Inoltre ho già un piano in mente…>

 

 

Isola del Teschio, da qualche parte nel Mar dei Caraibi

 

C’era un tempo in cui il suo solo nome bastava a suscitare paura in coloro che lo udivano, un tempo passato ormai come i sogni di gloria che ormai non erano che polvere. Una cosa assolutamente inaccettabile per quest’uomo vestito di una semplice tuta verde ma dall’aria sinistramente inquietante. Perfino i suoi stessi uomini si trovavano a disagio in sua presenza e questo quasi certamente era dovuto al fatto che non portava maschere: il sinistro teschio rosso era reale. La sua testa era ridotta così da quando era stata esposta ad un micidiale gas di sua creazione che non l’aveva ucciso solo perché lui aveva preso preventivamente un antidoto.[8] Ora era davvero l’incarnazione del male puro.

Si dice che non esistono esseri umani che siano davvero completamente malvagi, ma se anche fosse così, il Teschio Rosso sarebbe l’eccezione che confermerebbe la regola.

<Mi auguro che sia tutto pronto.> disse all’uomo che gli si era appena avvicinato, con un tono che lasciava sottintendere che una risposta negativa avrebbe avuto spiacevoli conseguenze,

<Sì signore… certo signore. Attendiamo solo il suo segnale per dare il via all’operazione.>

<E lo avrete al momento giusto.> ribatté il Teschio Rosso <Il momento di un’azione spietata come nessuno ha sperimentato finora.>

 

 

Rio Valiente. In un piccolo aeroporto fuori dalla capitale.

 

L’aereo scelto era un Boeing modello Y1B-17. Veloce e leggero, aveva una capienza di soli 6 uomini. L’ideale per l’equipaggio che doveva accogliere. Iron Maiden era nella cabina di pilotaggio pronta a far decollare l’aereo. La jeep con a bordo Mike Rogers e i suoi tre complici percorse la pista che portava ad esso. Tutti erano ammanettati e tenuti sotto tiro dai soldati riovalentiani. Nuke era ancora stordito dai tranquillanti che gli avevano iniettato per calmarlo; erano una dose “sufficiente ad addormentare un elefante”, come si dice in questi casi, ma serviva a malapena a tenere sotto controllo Frank Simpson, che barcollava e biascicava come un ubriaco.

Quanto a Crimson Commando, era nel giro da troppo tempo per non sapere che c’erano altri soldati a osservare i loro spostamenti.

<Liberateli.> ordinò a malincuore il capo degli agenti e le manette dei prigionieri furono aperte. <Andate.> disse loro bruscamente.

Mike Rogers sorrise e disse:

<Credo che ricorderò a lungo questa vacanza. Raccomanderò il vostro paese ai miei amici.>

Crimson Commando sostenne Nuke che faticava a reggersi in piedi e cominciarono la marcia di avvicinamento all’aereo.

In piedi davanti al portello d’entrata Iron Maiden teneva in mano la fiala col presunto virus tanto per far capire agli agenti della sicurezza di Rio Valiente che la sua minaccia era sempre valida.

Fu in quel momento che accadde qualcosa: uno degli addetti alla manutenzione che si erano occuparti del rifornimento dei serbatoi dell’aereo fece un balzo spettacolare e piombò su Iron Maiden spingendola all’interno.  La fiala le sfuggì dalle mani ma il nuovo venuto fece una capriola, lo afferrò a mezz’aria e si proiettò all’esterno.

<Ce l’ho, Steve.>

Poco lontano da lì Steve Rogers sorrise.

<Bravo Jack.> gli disse, poi al microfono si rivolse ai suoi alleati <Ragazzi… azione!>

Vestiti coi loro costumi da battaglia Steve e il Soldato d’Inverno uscirono allo scoperto, seguiti da Donna Maria che uscì dalla torretta della torre di controllo. Nel frattempo Jack Monroe si era liberato della tuta da addetto alla manutenzione rivelando il suo costume e calandosi sul volto la maschera di Nomad.

Mike Rogers capì che la situazione gli si stava rivoltando controllo. Doveva aspettarselo il suo avversario non si sarebbe arreso così facilmente, lui al suo posto non l’avrebbe fatto di certo.

<Correte!> incitò i suoi alleati <Possiamo ancora farcela>

All’interno dell’aereo Iron Maiden era corsa nella cabina di pilotaggio e subito i motori cominciarono a ruggire e le pale delle eliche a girare sempre più velocemente.

Nel frattempo le forze di sicurezza si erano riprese dalla sorpresa e cominciarono a sparare sui fuggiaschi che muovendosi a zig zag evitarono i colpi.

Non tutti, però, Nuke era ancora troppo lento ed un paio di pallottole lo colsero alla spalla. Crimson Commando lo sostenne.

<Coraggio soldato, siamo quasi in salvo. Tieni duro.>

Nuke borbottò qualcosa ma tra le se condizioni e il rumore delle eliche Crimson Commando non lo capì. Aveva detto forse: “Dammene una rossa”? 

Nomad era il più vicino all’aereo e cercò di bloccarli. Fu solo il suo istinto che gli permise di percepire la presenza di Iron Maiden alle sue spalle. Saltò di lato evitando un proiettile dalla pistola della russa, ma non fu abbastanza svelto da evitare un calcio allo stomaco sferratogli da Mike Rogers.

Ormai erano vicini all’aereo.

<Forza, dovete sbrigarvi!> urlò Iron Maiden.

<Ci siamo quasi!> le rispose Gail Runciter, salita per prima a bordo del mezzo e che teneva il portellone aperto.

<Non puoi portarlo con te! Ci rallenterà!> disse Mike, rivolto a Crimson Commando.

<Non lo lascerò indietro!> gli rispose questi, furioso. Nuke infatti visibilmente indebolito dai farmaci e dalle ferite riportate nello scontro a fuoco, non era autosufficiente ed era rimasto indietro. Ma Frank Bohannan sapeva cosa si provava a rimanere feriti ed essere lasciati indietro, e per nessun motivo al mondo avrebbe abbandonato il suo commilitone: “o ci salviamo insieme o moriamo insieme”, era questa la sua filosofia.

<Dai, parti!> ordinò Mike Rogers.

<Ma ...loro sono…>

<Vuoi farti nuovamente catturare, Gail? Questa volta non ci risparmieranno!> disse ancora Mike, dirigendosi poi verso la postazione del co-pilota.

L’aereo cominciò a muoversi, virò lungo la pista e facendo in questo modo, fortunatamente per gli altri due, si avvicinò abbastanza da far sì che Crimson Commando potesse caricare il corpo di Nuke e saltare a bordo.

<Stanno fuggendo!> gridò Steve Rogers, vedendo la scena.

Saltò su una moto che aveva fatto preparare per ogni evenienza. Girò la manopola del gas e accelerando, si diresse all’inseguimento dell’aereo. Non poteva lasciarli scappare: avevano troppo di cui rispondere, soprattutto quel suo “cugino”. 

<No Steve! Ti farai ammazzare!> gridò il Soldato d’Inverno. Certo era una situazione pericolosa, ma Steve era il miglior professionista con cui aveva mai lavorato, e di certo aveva affrontato situazioni ben più pericolose... ma allora, perché sentiva questa opprimente sensazione di pericolo? Agì senza pensare e si lanciò all’inseguimento del suo amico su un’altra moto.

Presto la moto di Steve affiancò la coda dell’aeroplano.

<STEEEEEEEEEEEEEVE! TORNA INDIETRO!> urlava Bucky, che gli stava dietro, ma a causa del rumore dei motori il suo amico non riusciva a sentirlo. Bucky allora andò più forte, nel tentativo di arrivargli più vicino.

<Ci stanno inseguendo!> gridò Gail.

<Cosa...? Dannazione...> esclamò Michael. Affacciandosi al finestrino vide che Steve stava quasi per raggiungerli.

<Maledetto cocciuto figlio di…>

Lasciò la sua postazione e andò dietro. Sull’aereo non c’erano armi ma durante la fuga era riuscito ad impossessarsi di una delle pistola dei soldati. Aprì il portellone cercò di sparare verso il suo inseguitore, ma a causa dell’alta velocità e dell’attrito con l’aria non riusciva a prendere bene la mira e i suoi colpi andarono a vuoto.

<STEEEEEEEEEEEEVE!> gridò nuovamente Bucky, ma anche stavolta, nulla.

<Dammela, faccio io…> disse Crimson Commando, avvicinandosi a Mike. Lui gli consegnò la sua arma, sapendo che grazie al suo occhio bionico aveva più possibilità di colpirlo.

<Sparagli, Frank. Non lo devi mancare! Uccidilo!>

L’impianto cibernetico nell’orbita di Bohannan si mise in funzione e zoomando su Steve lo aveva messo al centro del mirino. Crimson Commando aspettava solo un secondo di stabilità dell’aereo per premere il grilletto.

Lo avrebbe colpito? Oppure Steve avrebbe fatto in tempo a proteggersi con il suo scudo energetico?

Non ci fu modo di scoprirlo perché nell’istante in cui l’aereo si stacco dal suolo e Steve si lanciò nel vuoto con l’intento di aggrapparvisi, Bucky saltò dalla sua moto e afferrando l’ex Cap per le gambe lo tolse dalla linea di tiro, facendolo precipitare in mare.

<L’hai mancato!> esclamò furibondo Michael.

<Lascia perdere, tanto ormai non possono più raggiungerci.> gli rispose Frank.

E mentre l’aeroplano si perdeva nel cielo notturno, Steve e Bucky emersero dall’acqua per respirare.

<NO, STEVE, NON LO FARE!> gridava sconvolto il Soldato d’Inverno <NON INSEGUIRE ZEMO! LUI... LUI…>

<Buck, Buck, sta tranquillo... sono qui.>

<E’ come quella volta con Zemo, Cap. Proprio come quella volta...> continuava ripetere Bucky <Zemo... l’aereo... la bomba…>

Steve lo abbracciò in modo paterno, per tranquillizzarlo.

<Calmati amico. Ce l’abbiamo fatta, l’abbiamo scampata. Sto bene. Sei qui con me, adesso, e non ti lascerò...>

Qualcosa nella mente di Bucky era scattato.

Ricordava finalmente gli avvenimenti accaduti nel maggio del ’45. Quella folle corsa in moto all’inseguimento di un aereo lo aveva riportato indietro con ricordi a quel fatidico giorno, quando “morì” in quell’ultima missione e Cap rimase ibernato per decenni.

Mike Rogers era fuggito, la missione era stato un parziale insuccesso, ma in quel momento, seppur travolto dal freddo delle acque dell’oceano e dal vento notturno, Steve Rogers si sentiva felice... felice perché finalmente, dopo tanto tempo, sentiva nuovamente la voce di un caro, vecchio amico.

 

 

Unione Sovietica circa trent’anni prima.

 

Il Generale Karpov era ormai molto vecchio ma troppo cocciuto per andare in pensione. Il Soldato d’Inverno era una sua creatura e non avrebbe permesso a nessuno di occuparsene, non finché fosse stato vivo.

<Come sarebbe che l’avete perso?> urlò all’indirizzo di un giovane ufficiale.

<Non si è presentato al punto di raccolta.> rispose l’altro <E c’è un’altra cosa, Compagno Generale.>

<Cosa?> la rabbia era evidente nel tono di Karpov.

<Il bersaglio… non lo ha eliminato… sembra che all’ultimo momento abbia… beh rinunciato.>

Karpov era sempre più furioso. Aveva avvertito quegli stupidi del KGB che sarebbe stato meglio non mandare il Soldato d’Inverno negli Stati Uniti. Qualunque condizionamento non può essere perfetto e il rischio che nella sua vera patria qualcosa potesse risvegliare la sua vera personalità era altissimo. Gli avevano dato ascolto quegli imbecilli? No di certo ed ecco il risultato.

<TROVATELO!> ordinò seccamente <Non mi importa a che costo, ma trovatelo e riportatelo qui!>

 

Quasi nello stesso momento in una solitaria strada della California un giovane dell’apparente età di vent’anni sta facendo l’autostop. Non sa bene chi è ma sa una cosa: la risposta alle sue domande è sulla Costa Est ed è lì che andrà.

 

 

EPILOGO 1

 

McLean, Virginia.

 

Il funzionario della C.I.A. Simon Bixby rientrò a casa dopo una giornata di duro lavoro e la sola cosa a cui stava pensando era rilassarsi un po’ magari guardando un po’ di TV prima di andare a dormire.

Aveva fatto solo pochi passi all’interno che due forti braccia lo presero da dietro stringendogli collo e testa.

Una voce secca e dura apostrofò Bixby:

<Tu ed i tuoi amici del Consorzio Ombra mi avete per caso teso un tranello, Bixby?>

Bixby riconobbe la voce e si spaventò. Annaspando rispose:

<Rogers… sei tu? Che ti prende?>

<Mi prende che Rio Valiente è stato un fallimento,> rispose Mike Rogers <C’erano degli agenti americani… era uno dei vostri giochetti?>

<Non… non capisco cosa dici. Non so niente.  Noi volevamo il nostro uomo a capo di Rio Valiente, lo sai. Come puoi pensare che volessimo fregarti?>

Mike strinse la presa.

<Sono rimasto vivo proprio perché non mi fido di nessuno.>

<Ti giuro che non sapevo niente di agenti americani a Rio Valiente. Non sono dell’Agenzia, te lo assicuro. Forse era gente dello S.H.I.E.L.D.>

La presa si allentò pian piano

<Voglio crederti … per ora. > Ribatté Rogers <Ma se scopro che fate il doppio gioco, ve ne pentirete amaramente, te lo assicuro.

Dopo pochi istanti la stretta si allentò e Bixby si ritrovò a barcollare e si portò le mani alla gola. Quando riuscì a voltarsi la casa era vuota.

 

 

EPILOGO 2

 

Appartamento di Nick Fury, New York

 

I rumori sommessi che provenivano dal letto in penombra erano di quelli che di solito vengono definiti inequivocabili e furono interrotti quando a porta finestra che dava direttamente nella camera da letto di Nick Fury venne aperta di colpo ed una figura che vestiva una tuta scura entrò.

La mano di Nick si allungò sotto al cuscino per prendere la sua fedele pistola ma si fermò quando udì una voce che conosceva benissimo:

<Sono io, Nick.>

Fury balzò a sedere nel letto lasciandosi andare ad un’imprecazione per poi esclamare:

<Che ti venga un colpo, Rogers, non potresti telefonare come le persone normali invece di piombare in casa della gente per bene nei momenti meno opportuni? >

Solo allora Steve Rogers, perché di lui si trattava, si accorse che a letto con Fury c’era una giovane donna bionda che cercava di coprirsi con un lenzuolo. Un improvviso rossore gli avvampò le guance strappando, suo malgrado, un sorrisetto a Fury che, incurante del pudore si alzò e si infilò una vestaglia.

<Ah… Mi scuso Miss… io non pensavo…> la voce dell’uomo che non aveva paura di sfidare la morte sembrava quasi balbettante in quella situazione. Nick lo prese per un braccio.

<Andiamo in terrazza.> disse <E tu Laura, sta tranquilla, non hai nulla che il mio amico non abbia già visto.>

Uscirono all’aperto e Steve si rivolse a Fury:

<Quella è Laura Brown, vero? Non sapevo che vi vedeste ancora.>

<Ed io non sapevo che con chi vado a letto fosse una cosa che ti riguarda. Vuoi deciderti a dirmi perché sei piombato qui senza avvertire?>

A quelle parole Steve riprese uno sguardo serio.

<Da quanto sapevi di Mike Rogers? Perché non mi hai mai parlato di lui?> chiese,

<Perché per quanto ne sapevo quell’uomo era morto da quasi trent’anni.> ribatté Nick <Non c’era necessità di dirtelo e quando è ricomparso tu eri già “in pensione”.>

<Capisco.> Steve chinò il capo riflettendo, per poi dire <Voglio sapere tutto su di lui… tutto Nick. Prima o poi io e lui ci ritroveremo faccia a faccia e per allora voglio… voglio capire com’è diventato quello che è: un riflesso distorto di me stesso.>

<Nessun problema.>

<Bene, porgi le mi scuse a Miss Brown. Non era mia intenzione interrompere… quello che stavate facendo.>

Detto questo Steve saltò dal parapetto come un tuffatore salta dal trampolino. Fluttuò nel vuoto per un po’ poi si attaccò ad un’asta di bandiera ed usò lo slancio per atterrate su un vicino cornicione.

<Esibizionista.> borbottò Nick sogghignando, quindi rientrò in camera.

<Chi era quell’uomo, Nick?> chiese Laura Brown ancora nel letto.

<Un vecchio amico con un pessimo tempismo.> rispose Fury, poi si slacciò la vestaglia <Ora… che ne dici di riprendere da dove eravamo rimasti?>

Laura lasciò cadere il lenzuolo sorridendo.

<Nick, tesoro…> rispose <… non chiedo di meglio.>

 

 

FINE

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

Finale adrenalinico della nostra saga sudamericana in cui Steve Rogers ha finalmente incontrato Mike Rogers e il suo gruppo che potremmo chiamare i Vendicatori Segreti Oscuri o magari i Signori del Male Segreti. -_^

Abbiamo anche appena cominciato ad esaminare uno dei temi più affascinanti della letteratura: quello della metà oscura per dirla con Stephen King. Ci ritorneremo sopra, contateci.

Ci accorgiamo solo ora che in questo episodio non hanno trovato posto Sharon Carter e Yelena Belova. State tranquilli: ci rifaremo nel prossimo.

Ed ora due parole su:

1)    Simon Bixby, ambiguo agente della C.I.A. è stato creato da Paul Jenkins & Jae Lee nella miniserie Marvel Knights “Inhumans” del 1998. Se volete saperne di più su di lui e sul misterioso Consorzio Ombra, seguite la serie MIT di Capitan America.

2)    Laura Brown era la figlia dell’apparentemente umile segretario del Consiglio direttivo delle Imperial Industries, il quale segretamente era l’Hydra Imperiale, colui che sembrava il capo dell’Hydra mentre invece era solo il secondo in comando del Barone Strucker. Laura fu costretta ad unirsi all’Hydra col ruolo di Agente H, che poi si sarebbe evoluto in quello di Madame Hydra, ma alla fine tradì il padre per aiutare Nick Fury. Entrò nello S.H.I.E.L.D. e lei e Nick Fury hanno avuto da allora una relazione finita e ripresa più volte.

Nel prossimo episodio… il ritorno del Teschio Rosso Anni 50 e… beh... leggetevelo e lo saprete. -_^

 

 

Carlo & Carmelo



[1] Nell’episodio #15

[2] Nello scorso episodio naturalmente.

[3] Su The Others 35.

[4] Per scoprirlo vi basterà leggere Marvel Knights #59

[5] Federal'naya sluzhba bezopasnosti Rossiyskoy Federatsii, Servizio di Sicurezza Federale della Federazione Russa, l’organo responsabile de controspionaggio e della sicurezza interna della Russia.

[6] Sluzhba Vneshney Razvedki, Servizio di informazioni Estere, l’organo che si occupa di spionaggio all’estero per la Federazione Russa.

[7] Su The Others 24.

[8] Come narrato in Captain America Vol. 1° #350 (In Italia su Capitan America & I Vendicatori #76).